È uscito in
questi giorni il documentario L’arrivo di
un Treno - Sulle tracce della Spoleto Norcia, prodotto da Philms e
distribuito da Umbria Nascosta, che ripercorre le tappe della dismessa ferrovia
Spoleto – Norcia, il cui soprannome di “piccolo Gottardo” ben si addiceva ad un
confronto con la linea del Bernina Express. Simile l’ardimento con il quale gli
ingegneri di un secolo fa progettarono ponti, viadotti e contrafforti sulle
pendici delle montagne, simile lo spirito che le animava. Differente,
purtroppo, il destino. Viva e produttiva la linea svizzera, ridotta al più ad
un sentiero terroso quella che valicava le creste appenniniche. Sul perché due
punti di partenza tanto simili abbiano prodotto esiti tanto diversi si
potrebbero riempire d’inchiostro pagine e pagine, ma non è questa la sede.
Piuttosto,
analizziamo brevemente ciò che era la Spoleto – Norcia: progettata ed eseguita
dall’ingegner Erwin Thomann (guarda caso uno svizzero che s’ispirò proprio alle
linee alpine!), la ferrovia si staccava dalla stazione di Spoleto F.S. e, dopo
52 chilometri di incredibili tornanti a picco su burroni dirupati, gallerie
elicoidali e viadotti mozzafiato, percorreva l’intera valle del fiume Nera e raggiungeva
l’altopiano nursino, dove terminava. Inaugurata nel 1926 con fastose
celebrazioni di regime, nasceva già monca dato che il suo naturale progetto di
completamento verso l’Adriatico abortì immediatamente a causa degli elevati
costi di realizzazione. Interamente elettrificata e a scartamento ridotto (950
mm), raggiungeva pendenze del 6‰ e attraversava il valico più importante con
una (per l’epoca) sontuosa galleria di due chilometri ancora perfettamente
percorribile a piedi o in bicicletta. Tuttavia il suo tratto distintivo più
caratteristico erano senza dubbio i numerosi elicoidali che, soprattutto nel
tratto tra Spoleto e Sant’Anatolia di Narco, permettevano ai binari di sopperire
alle forti pendenze del terreno. Quello della Caprareccia era un elicoidale
molto simile a quello di Brusio, ma durante il tragitto se ne incontravano
diversi altri, alcuni dei quali scavati completamente nella montagna, che le
elettromotrici celesti della Società Subalpina (così si chiamava l’ente che
aveva in concessione l’esercizio) percorrevano arrancando su ogni rampa.
Cosa c’entra
tutto questo con la linea che va da Tirano a Saint Moritz? Beh, vedere le
carrozze panoramiche che tuttora percorrono la Bernina Express non può che
suscitare un moto di rabbia in chi conosce la Spoleto – Norcia: a quasi mezzo
secolo dalla sua chiusura infatti (il decreto fu firmato dall’allora ministro
dei trasporti Scalfaro nel 1968), il Trenino Celeste della Valnerina potrebbe
essere oggi una preziosa fonte per il turismo della regione. Ovviamente, al pari
del suo simile svizzero, non servirebbe agli spostamenti degli abitanti della
zona, per i quali l’uso dell’autovettura sarebbe di gran lunga più conveniente,
ma piuttosto per i turisti. Si può benissimo condurre una persona da Spoleto a
Norcia in due ore invece che in quarantacinque minuti, purché lo si faccia a
condizione di fargli vivere un’avventura immersa nel paesaggio incontaminato e
nella natura. La stessa filosofia che anima la Bernina Express, dopotutto.
Invece, data la
consolidata carenza di lungimiranza che affligge il nostro Paese, si è
inopinatamente permesso che un simile gioiello venisse lasciato morire. In
quanto “ramo secco”, andava tagliato, secondo la logica prevalente negli anni
’50 e ’60 dello scorso secolo. Una politica miope e scellerata che puntava a
favorire l’utilizzo del mezzo su gomma senza nessun’altra considerazione al di
fuori di quella meramente economica e che, in Italia, produsse danni ingenti al
patrimonio ferroviario. E a nulla servono oggi gli strali delle associazioni
che ne chiedono il ripristino. Inutile nasconderlo, sarebbe troppo costoso da
affrontare per qualunque pubblica amministrazione, senza contare che in alcuni
tratti il tracciato è ormai compromesso, inglobato dalla strada statale o
rosicchiato dalle piene dei fiumi. Servirebbe forse l’investimento di una
multinazionale, ma parlarne in questa sede ci porterebbe fuori tema.
Limitiamoci invece a constatare che, almeno nell’ultimo decennio, qualche spiraglio
si è aperto e un progetto di rilancio è stato realizzato. Oggi la cosiddetta
“Mobilità Dolce” è una realtà. In pratica, l’intera linea (salvo pochi tratti)
è stata messa in sicurezza e aperta al pubblico per passeggiate a cavallo, a
piedi o in bicicletta. Non sarà certo come lo sferragliare del treno sui
binari, ma è comunque qualcosa. Un assaggio di ciò che i fortunati del tempo
dovettero provare nel percorrere quei panorami verdeggianti.
Le differenze e
le somiglianze con l’altrettanto splendida linea alpina finiscono qui, e non
sono poche. Forse si potrebbe fare un confronto più generico tra le due realtà
territoriali, ma tant’è, non affliggiamoci oltre.
Per vedere il
nostro documentario, e votarlo, se vi piace, seguite il link:
Matteo Bruno
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